Ho fatto un Sogno
Parte Prima
L’altra notte ho fatto un sogno:
eravamo su di un divano sospesi nel tempo
e ci guardavamo, parlavamo riempiendo il cielo di parole
e attraverso l’anima ci sfioravamo, senza toccarci,
ma ci sfioravamo e sognavamo.
Sognavamo e li dipingevamo i nostri sogni, li dipingevamo su di un muro invisibile, quant’era magico quel muro e il pennello che usavamo era ancor più magico:
si chiamava futuro.
Quant’eri bella, ma come fa ad esser così bella mi chiedevo, non potrò mai dimenticare quello sguardo, quegl’occhi grandi che sembravano
due lame pronte a fare a pezzi il mio cuore.
Quei due capolavori della natura, con quel colore rubato all’oceano, mi portavano su vette mai toccate prima, mi provocavano gioia, mi provocavano dolore,
mi provocavano sensazioni che non si possono esprimere con delle semplici parole, forse dovrei chiamarle con il loro vero nome: forse dovrei chiamarle amore.
Ma mia cara tu non hai scelto un uomo qualunque, tu hai scelto un poeta,
anzi il più folle dei poeti!
E quindi sai già che adesso volteremo pagina e ti condurrò in un mondo pericoloso, salirai con me sul mio cavallo nero e faremo un viaggio un po’ particolare,
attraverso la morale fasulla del mondo, solo con una penna e la nostra fantasia,
sarà come quando facciamo l’amore, rasenteremo la pazzia.
Che abbia inizio:
Anatema
Parte Seconda
Chiunque pensi di avere una morale, lasci stare questa storia e si vada a confessare. Per tutti quelli che come me una morale non ce l’hanno:
si mettano pur comodi, perché questo momento non se lo scorderanno.
No, credo proprio di no…
L’altra notte ho fatto un sogno:
c’era un uomo dall’aria malinconica, fermo, immobile,
con lo sguardo perso nel vuoto.
Indossava un tight nero e un grosso cappello che gli copriva interamente il viso,
sul collo gli si scorgeva un evidente crocifisso d’argento capovolto
su cui si leggeva appena una scritta: il giorno più bello.
Aveva il capo chino di chi ha conosciuto la sconfitta,
aveva lo sguardo assassino di chi ha assaporato la vendetta.
Di fronte a lui c’era un altro uomo dall’aria malinconica, fermo, immobile,
con lo sguardo perso nel vuoto.
Indossava un tight bianco e un grosso cappello che gli copriva interamente il viso,
sul collo gli si scorgeva un evidente crocifisso d’argento
su cui si leggeva appena una scritta: il giorno più bello.
Aveva il capo dritto di chi ha conosciuto la vittoria,
aveva lo sguardo buono di chi ha conosciuto la sofferenza,
di chi ha assaporato il perdono.
Che ci fai qui? Chiese l’uomo vestito di nero all’uomo vestito di bianco,
cosa vuoi da me? Proseguì l’uomo.
Non ti avvicinare, mi devi stare lontano! Hai forse riunito il tuo esercito,
sei pronto per un’altra battaglia? O magari sei venuto per dare sfoggio della tua grandezza, o magari della tua bellezza.
Se ci togliessimo i vestiti, rispose l’uomo vestito di bianco, credo che nessuno riuscirebbe a distinguere chi è l’uno e chi è l’altro, ma basterebbe farti parlare per distinguerti da me, non ho bisogno né di eserciti, né di nuove battaglie
per riuscire a incatenarti ancora.
Fu così che a un certo punto si alzò un vento fortissimo, incontrollabile
e i due uomini furono sommersi dalla polvere.
L’uomo vestito di bianco scomparve, mentre l’uomo vestito di nero si ritrovò solo,
su di un ponte fatto di legno: sotto il nulla.
Dove mi hai portato? Cominciò a urlare l’uomo in nero, sei un bastardo! Fatti vedere! Il mio esercito vi distruggerà e distruggerà tutto quello che avete creato,
diverrete il nulla come questo ponte, il nulla!
Mentre l’uomo in nero continuava a inveire, a un certo punto si scorse
al di là del ponte una figura di donna che pian piano si avvicinava.
Egli non poteva credere ai propri occhi vedendo tanta bellezza, era sconvolto,
senza fiato, d’un tratto la sua rabbia era scomparsa.
La donna indossava un abito da sposa di raso rosso cortissimo,
le arrivava appena sotto le parti intime, era scalza
e il suo corpo trasudava sensualità.
Tu chi sei? Chiese l’uomo in nero alla donna e dove siamo?
Proprio non lo sai ? Rispose la donna.
Qui siamo sul ponte dei ricordi e quello lì sotto e il lago dei sospiri mio principe.
Tu chi sei? Continuò a chiedere l’uomo.
Lo sai benissimo, gli rispose la donna e adesso nessuno potrà più separarci,
ma ora smettila di parlare e cominciò a baciarlo.
L’uomo in nero era impietrito di fronte a quelle labbra
che si univano alle sue e formavano un’unica carne, la sua forza, il suo impeto,
il suo odio parevano dissolti, era diventato uno schiavo: uno schiavo d’amore.
Vieni con me disse la donna.
Dove? Chiese l’uomo in nero.
In un posto dove potremo amarci,concluse la donna.
Di colpo i due amanti si ritrovarono in una piccola chiesetta
di costruzione medievale, di fronte a loro solo un enorme crocifisso di legno
e un piccolo altare.
Ma dove mi hai portato? Cominciò ad urlare l’uomo, io non posso stare qui,
tu non puoi farmi questo, inginocchiandosi di fronte alla donna,
se davvero mi ami non puoi farmi stare qui, al cospetto del mio nemico.
L’uomo in nero sentendosi impotente e senza capacità di reagire,
cominciò ad urlare frasi sconnesse, frasi incomprensibili,
nella piccola chiesa risuonavano agghiaccianti le sue urla e i suoi lamenti.
A un certo punto intervenne la donna, con quel suo viso angelico,
con quegl’occhi così rassicuranti, abbracciò l’uomo e cominciò a baciarlo,
prima sulla bocca, poi sempre più giù.
Lui non poteva credere ai propri occhi ed ai propri sensi,
si abbandonò completamente all’amore, prese la donna ,le strappò l’abito da sposa
e cominciò a leccarla non tralasciando nemmeno un centimetro del suo corpo,
questa volta nella chiesetta risuonavano solo gemiti di piacere.
L’uomo prese la donna, la mise sull’altare e la penetrò in ogni modo.
E continuarono ad amarsi per ore e ore, senza fermarsi, fino allo sfinimento.
Ma quel sogno ben presto si tramutò in un incubo.
Le porte della chiesetta si aprirono e ricomparve l’uomo vestito di bianco.
Si avvicinò ai due amanti e disse loro:
è bello l’amore… quante soddisfazioni riesce a dare, sia al corpo che all’anima.
Ma tu mio supremo nemico rivolgendosi all’uomo vestito di nero,
sei sicuro di meritarlo?
Com’è strano vederti di nuovo incatenato, stavolta però con catene
molto più piacevoli.
Io non sarò mai tuo schiavo, ribattè con fermezza l’uomo in nero
e adesso allontanati da me brutto bastardo, non mi avrai mai dalla tua parte,
non fu così in principio e sarà così fino alla fine.
Bene, come vuoi tu, rispose l’uomo in bianco,
se sei davvero quello che dici di essere, dammi una prova.
Una prova della tua grande forza, del tuo odio, su coraggio: uccidila!
Ma cosa dici? Rispose sconcertato l’uomo in nero, tu mi chiedi questo?
Sì, io ti chiedo questo, rispose l’uomo in bianco,
voglio assaporare la tua grandezza,
dopo tutto lei non è nient’altro che un essere insignificante al tuo cospetto.
E al tuo? ribattè l’uomo in nero.
No, al mio no, rispose l’uomo in bianco, lei per me rappresenta
l’innalzamento assoluto dell’essere, il dono più grande, il miracolo più riuscito,
anzi non lei: voi!
L’uomo in nero cominciò a sorridere.
Perché sorridi? Gli chiese l’uomo vestito di bianco.
Perché sono nudo rispose l’uomo in nero
e se ti spogliassi anche tu
in questo momento nessuno ci distinguerebbe.
Basterebbe farti parlare ricordi, ribattè l’uomo in bianco.
No, non parlerei rispose l’uomo in nero.
Perché? Chiese l’uomo in bianco.
Perché così anche solo per un istante potrei capire cosa si prova ad essere come te. Concluse l’uomo in nero.
Si alzò di nuovo il vento e il sogno lasciò spazio alla polvere.
Autore: Davide Leoci